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Origine delle genti pedemontane del Grappa

ORIGINE DELLE GENTI PEDEMONTANE

Nella regione pedemontana dal Piave al Brenta, fino all'avvento di Roma, favorita dal clima collinare mite, fiorì la civiltà delle popolazio-ni preromane. Erano celti e retii, secondo gli storici.
La pianura sottostante, allora ricca di selve e paludi, inospitale, era quasi del tutto spopolata, tranne che lungo le sponde dei grandi fiumi navigabili, come i nostri Brenta e Piave, e in qualche luogo ai margini delle paludi e delle lagune. Costoro venivano indicati come "veneti", "coloro che abitano le lagune e le paludi".


Esisteva già allora l'antichissima città di Asolo, citata nelle fonti romane col nome probabilmente retico di Acelo, che è stato tradotto di recente, "centro abitato, fortificato, posto sul colle".
Non esisteva Bassano, allora coperta da selve, e fioriva invece, nei pressi di tali selve, l'antica Angarano, allora importante come scalo portuale e nodo tra la strada che scendeva dalla Valsugana e il Brenta navigabile,
Questi popoli, veneti, celti, retii, sempre han conservato la loro identità culturale ed anche una certa indipendenza, verso i Galli ad occidente difendendola con le armi, nei confronti dei Romani a mezzogiorno stringendo con essi dei patti di interesse reciproco. Roma forniva la collaudata macchina bellica e un vasto impero lasciando ai commerci le popolazioni locali, L'efficiente struttura commerciale, sia per mare che per terra.
Una notevole autonomia le nostre genti la conservarono anche dopo che, nel 49 avanti Cristo, con la famosa legge Roscia l'intero territorio veneto-euganeo venne a far parte integrante della cittadinanza romana e le principali città murate divennero municipi di pieno diritto romano. Tuttavia Acelo e la limitrofa area Misquile fino al Brenta, rimasero piuttosto in disparte, anche se proprio in quest'area vennero a stabilirsl e a chiudere la loro esistenza condottieri romani che ne avevano apprezzato la singolare bellezza, come il Caio Vettonio di cui si conserva il monumento funebre nell'odierna Sant'Eulalia presso Borso del Grappa. E' in questo periodo del primo impero romano che la prosperità locale raggiunse l' apice. Ne sono indizi, la grande quantità di laterizi che attestano una progredita urbanizzazione, e l'abbondanza di monete, romane, macedoni e persino galliche, che si rinvengono nelle urne cinerarie del periodo. Tali monete, provenienti dalle più svariate nazioni, dimostrano il fiorire di un 'attività commerciale cosmopolita, imperniata su scambi internazionali oltre che locali. Proprio questo angolo tranquillo, operoso c culturalmente avanzato di terra veneta, a partire dal 11° secolo dopo Cristo vede il proprio declino. Lo invadono a più riprese Marcomanni dai confini dell'impero, rapinando e distruggendo. Costoro, trovando ben scarsa resistenza in popolazioni già decimate da epidemie, poterono scorazzare da padroni in lungo e in largo, e si sarebbero fermati ben volentieri in queste terre, più ospitali di quelle donde erano venuti, se non avessero trovato ostacolo in un nemico allora invincibile: la
peste. Nell IV secolo sopraggiungono Franchi e Burgundi, stirpi germaniche anch'essi, e si insediano stabilmente nel Veneto centro settentrionale e nella nostra terra. Il loro dominio è contrastato alla fine della lunga guerra gotico bizantina, a metà del VI secolo, da gruppi sbandati di goti e bizantini che contribuiscono a desolare il territorio. Quel che per caso fu risparmiato da guerre, scorrerie, rapine, venne distrutto dalle pestilenze e dalle carestie. Tristemente famosa quella del 565 dopo Cristo, tanto che si può dar credito al Muratori che afferma che le nostre terre erano diventate un deserto spopolato e inospitale, le selve, le paludi e gli acquitrini eran tornati a ricoprire quelli che già erano stati campi coltivati, per giunta periodicamente sconvolti, aggiunge il Mu- ratori, dalla furia delle acque di piena di fiumi e torrenti non più arginati dalle mani dell'uomo. Nè derivò un'estrema rarefazione delle popolazioni, rarefazione su cui insistono concordi le fonti storiche e che bene spiega perchè altri rudi popoli germanici, Longobardi, Sassoni ed Eruli delle terre selvagge di Pannonia, informati del fatto, si accesero di desiderio per l'italia, vi penetrarono dai passi del Friuli, invasero l'alto Veneto al di sopra della linea da Treviso a Castelfranco, Cittadella e Vicenza, e in appena sei mesi giunsero a Milano, ovunque insediandosi da padroni. Fu una vera e propria migrazione di popolo, e non una estemporanea scorreria, dato che costoro avevano al seguito le donne e i bambini, e, fermatisi qui per sempre, iniziarono il ripopolamento delle terre.
Il sangue di queste stirpi germaniche scorre ancora nelle vene delle nostre genti pedemontane, come lo rivelano le caratteristiche etnico-culturali, il temperamento, l'etimologia di tante parole dei dialetti, e dei cognomi, spesso persino i tratti somatici. Anche i toponimi, i nomi dei luoghi, sono una spia dell'origine della gente che in passato anche remoto ha popolato o ripopolato un luogo. Già l'Agnoletti, nel secolo scorso, aveva notato che Vedelago è il germanico Weite-Lache, "ampia fossa ", che esiste anche nella versione Fossalunga, odierna frazione di Vedelago; Castello di Godego è il castello dei Goti, appunto Gotico, Godigo; il torrente Lastego che scende dal Grappa e attraversa Crespano e Paderno, è il germanico Lastig, "irruento, impetuoso"; la località Vitipan in Pederobba è il germanico WichtiBahn,. "strada importante", appunto la strada che in antico collegava lo sbocco della vallata del Piave tra Quero e Segusino, alla Valcava sia. Sono alcuni esempi tra mille. Nei nomi di battesimo, poi, l'origine germanica è spesso trasparente: troviamo dappertutto, a piè dei monti fra Piave e Brenta, gli Ermenegildi e gli Adalberti, le Matildi, re Regelde e le Adalgise, e così via. Tale apporto di genti nuove non bastò peraltro a ripopolare gli enormi vuoti. I Longobardi ripresero quindi la politica demografica iniziata dai Romani e continuata dai Goti, di chiamare in loco intere popolazioni, tribù e famiglie, di stirpe germanica, volta a volta, ancora Sassoni, e poi Bavari, Alamanni, ed altri.
Specialmente l'influenza e l'egemonia dei Longobardi fu talmente penetrante, che pur dopo la caduta del loro formale dominio, le loro leggi si conservarono per secoli sia sotto il dominio dei Franchi, sia degli Ottoni. Tanto che, ancora in pieno Xl secolo dopo Cristo, la maggioranza delle popolazionI di città e la quasi totalità di queIle rurali, seguivano la legge longobarda, oppure alamanna, o salica. Lo stesso Ezzelino da Romano, più tardi, si dichiara ossequiente alla legge longobarda. E negli anni dal 1180 al 1318 le cronache attestano che su 36 podestà della vicina Magnifica Comunità di Conegliano, almeno 28 erano di origine germanica: Ubertino, Odorico Nordilio, Williel- mo, Tisone, Ugone, Menegoldo, Folche rio, Bardèria, Mariga de La Motha, Raynaldo, Gualperto, Beraldo, Gerardino, Guarnerio, e così via: sono nomi che parlano da sè.
Ma già parecchi secoli addietro, nel 700 dopo Cristo, un anonimo monaco nostalgico della romanità, annotava malinconicamente che il nome Italia era ormai desueto e tutta la regione da Milano ad Aquileia si chiamava Longobardia.
Vestigia delle nostre ascendenze germaniche oggi sopravvivono anche negli stili tipici delle case, come nelle balaustre bavaresi di molte abitazioni pedemontane, nei portali longobardi della chiesa di Santa Maria Maddalena a Obledo di Cavaso, nelle finestre gotiche di alcuni antichissimi rustici.
Queste genti, benchè tutte germaniche, avevano cIascuna una propria identità culturale che gelosamente conservarono lungo i secoli. Tali differenze tuttavia costituiscono varietà locali di una unica grande famiglia etnica di comune matrice germanica, la cui profonda unità, anche culturale, si evidenzia per contrasto con altre regioni d'ltalia e persino con altre zone del Veneto

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