PREMESSA:
Il titolo di per se banale mi è venuto in mente utilizzando i motori di ricerca di internet, dove, per trovare qualcosa, ci siamo abituati a immettere dei testi molto sintetici, che in realtà definirei stitici, come del resto è stitica l'attuale volontà di vivere il mondo per l'avventura, nel senso di cogliere ogni opportunità per fare qualcosa al di fuori della norma.
I giovani, da sempre, si sono sempre divisi in varie categorie, Ci sono quelli che stanno intanati a casa per paura del mondo che li circonda, ci sono quelli che il mondo lo vivono solo di notte....., ci sono quelli che vivono nelle regole e pretendono che il mondo sia tutto regolato, ci sono alcuni, pochi, pochissimi che il mondo lo vivono per l'avventura. Io ed il mio amico Fabio di avventure ne abbiamo avute tante, e qui ho il piacere di narrarne una.
Zona pra sareser ore 00.30 circa. Gli alberi erano alti 15-20 m, le fiamme il doppio ore 01.00 circa Fuoco zona Pra del Gratarol A fuoco sterpaglie e pini mughi presso la sorgente delle Meatte
Sentiero delle meatte Zona meatte davanti seconda domenica di Gennaio, negli anni successivi Zona Meatte de Drio dopo venti anni ancora i segni della devastazione Monte meatte oggi dal sentiero oggi, qualche pianta sopravissuta,
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CAPITOLO 01 |
Ho cominciato a fare qualcosa a notte fonda. Uno con uno scopone non può fare molto.
Nei dirupi prima delle Meatte gli Abeti sono a gruppi di 3 – 10 piante, queste, quando venivano attaccate dal fuoco bruciavano. Eccome se bruciavano, sembravano pieni di benzina. Non avevo mai visto quel tipo di incendio sul Monte Grappa dove di solito brucia solo l'erba secca sul piede degli alberi e dove tutt’al più a bruciare sono gli arbusti.
Ho localizzato dei gruppi di abeti isolati dal bosco e ho tentato di impedire che il fuoco, che corre sullo strato di erba secca, raggiungesse le piante . Molti insuccessi, qualche soddisfazione, per il resto.... non vidi nessuno.
Nella lotta riecheggiavano nella mia mente le musiche di Wagner, in una lotto per sopravviere e far sopravvivere. Feci qualche foto. Alle 3 e mezza circa, visto che il disastro era incontenibile, ed il giuoco si faceva pericoloso, ritornai sui miei passi.
Tornai sul prato della vedetta e notai che il fuoco aveva “saltato” la strada “del salt dea cavara” e pensai ….. sarebbero bastate 5 - 6 persone per impedire al fuoco di propagarsi veso est , in quanto le 5 – 6 persone potevano stare tranquillamente sulla strada e bloccare le fiamme, ma ovviamente non c'era nessuno.
Verso le 4 ho notato una serie di autobotti salire dalla strada di Possagno. Erano i vigili del fuoco. Si fermarono poco dopo “bocca della forca” e scesero. Con loro anche un personaggio con accento poco nordico, mi dissero che era un viceprefetto ....
Questo personaggio disse :” beh qui non ci stanno case che bruciano. Possiamo andare giù ….. al resto ci penseremmo domani, faremmo intervenire l'elicottero” ….. e poi un' altra affermazione intelligente : “ fortunati siamo … nefica “! . Si nevicava quella notte, nevicava solo in Grappa, era la cenere dell'incendio che bianca e lieve come la neve cadeva al suolo .
Mi incamminai verso le 05 a valle pensando che fortuna la foratura !!! Ovunque l'avessi parcheggiata nella parte alta della montagna, anche la moto sarebbe bruciata !!!
Riuscii a cambiare la gomma e tornai a casa . Arrivato a casa, sporco e puzzolente di fumo, mi buttai direttamente sopra il letto senza nemmeno levarmi i vestiti e stanco morto presi sonno immediatamente.
CAPITOLO 2
Dormo pesantemente, ero stanchissimo. Vorrei starmene a letto fino a mezzogiorno. Infatti, appena prima dell’alba, ho un sussulto. Sassi contro la finestra della camera. Si perchè la finestra della mia camera era poco distante dalla strada, per gli amici che mi chiamavano nelle ore strane, il metodo era quello di tirare i sassi sulla finestra.
Mi sveglio di soprassalto, guardo fuori e chi ti vedo? Un altro ragazzo di Paderno, mio cugino alla lontana e abituale compagno di avventure, Fabio. E’ incazzato. Incazzatissimo. Appena mi affaccio alla finestra mi urla : “ ma no te vedi che xe drio brusar tutto, dai movate che ‘ndemo su “ . Non mi sono neanche accorto di aver dormito . Faccio colazione in piedi, riprendo lo scopone anticendio che ne frattempo si era mezzo consumato.
Carichi di roba che potrebbe servire a spegnere le fiamme, saliamo sul PX e partiamo. Sapendo che ci avrebbero bloccato, facciamo il giro largo per la val Muneghea e dopo una veloce marcia arriviamo al “ pian dea Baea” .
Il fuoco aveva camminato quella notte. Forse meno del previsto, in verità. Probabilmente la corrente serale, che scende dal monte verso il piano, l’aveva risospinto sui suoi passi impedendogli di trovare nuovo alimento. Ma che sarebbe accaduto col l’arrivo del giorno? Il tempo si manteneva bello. E secco. Una vera maledizione. Ad ogni modo, per quanto lentamente, il fuoco camminava.
Ci Assaliva lo sconforto nel non vedere nessuno, ma proprio nessuno, intenzionato a fare qualcosa per combattere le fiamme. Non c’erano neanche curiosi. Non vigili del fuoco, né squadre antincendio.
Conoscendo la conformazione dei versanti ci affrettammo fino alla Forcella delle Meatte. Il fuoco, risalito lentamente il pendio, cominciava a progredire verso la valle delle Mure. Neve non ce n’era. L’erba secca, schiacciata a terra bruciava velocemente. Per fortuna il fuoco, però rimaneva basso, e riuscimmo a spegnere le fiamme sulle aree margianli del bosco.
A quel punto vedemmo l’incendio avvicinarsi ai prati vicini allo “Sponton delle Meatte”, una specie di guglia rocciosa sospesa sopra l’abisso. Pensando di poter estinguere le fiamme prima che si diffondano fino alla vetta del monte Archeson, proviamo ad addentrarci sul sentiero delle “Meatte”. E per un pelo mal ce ne incoglie. All'improvviso, il fuoco guizza in alto su tutto il fronte dai canaloni. Con spaventoso effetto camino sale a 100 all'ora dal fondovalle e finito il canalone, esplode nell'aria come fuochi d'artificio, scaricando tutto attorno quintali di tizzoni ardenti, faville e ingenerando più su altri incendi. La pietra si cuoce, gli alberi di pino avvampano in torce scoppiando con boati assordanti mentre la resina contenuta all’interno dei tronchi brucia generando un calore insopportabile. Io e Fabio ci scambiamo appena una rapida occhiata, mentre tutto intorno piovono scariche di sassi tra le piante in fiamme. Fuggiamo a gambe levate, appena in tempo!! Dopo pochi istanti il fuoco ci supera ed incenerisce in un baleno le macchie dove eravamo fin prima. E non è finita. Le emozioni si susseguono senza dare tregua. Siamo appena arrivati fuori da quel marasma di fuoco e pietre che un nuovo rumore ci mette in allarme. E’ un rombo cupo. Viene dall’altro lato del costone Che il fuoco sia già lassù?
Nemmeno il tempo di appiattirci contro la montagna ed ecco spuntare dalla valle delle mure, un grosso “Canadair” così basso da rasare le piante.
Per noi una grande soddisfazione, finalmente un grosso mezzo che spegne le fiamme.
Si il “Canadair “ era la per spegnere le fiamme. Con un unico passaggio scarica una sostanza rossastra sopra una lunga macchia di Pini Mughi che all'epoca ricoprivano il costone che porta sul monte Meatte. Prima dell'aereo il fuoco lambiva questa macchia di pini ; dopo il passaggio dell'aereo il fuoco cosa fece ? … non ci crederete mai …. in meno di 2 minuti il fuoco divorò l'intera macchia di pino mugo.
Ci guardammo in faccia increduli …… Era ritardante o benzina ?
Dopo circa mezz'ora vediamo un gruppo di persone, anche loro attrezzati per spegnere l'incendio, anche loro abusivi del fuoco come lo eravamo noi.
L'incendio non dava problemi dove lambiva i pascoli di alpeggio, non c'erano ne’ erba , ne’ piante da bruciare. Si spegneva quasi da solo. Bastavano pochi colpi di scopa e le fiammelle basse si esaurivano.
Dopo un poco fu chiaro che da lì l’incendio non si sarebbe propagato.
Decidemmo quindi di andare a vedere se più avanti c’era la possibilità di fare qualcosa.
Seguimmo i costoni fino a malga vedetta. Finalmente trovammo una persona dell'anticendi boschivi, una persona che conoscevo bene, A. T. . Era super attrezzato: tuta, casco, scarponi, radio, macchina fotografica o telecamera che fosse. Aveva tutto, ma proprio tutto. Fuorchè quello che serve per spegnere le fiamme.
Stava lì fermo, in mezzo ad un paesaggio da inferno dantesco, annegato dal fumo. Il fuoco aveva abbrustolito la montagna. Tutto intorno si alzavano volute di fumo nero. La cenere saliva portata dal vento sporcando l’aria di un grigio plumbeo. L’uomo, con la sua bella tuta fresca di bucato spiccava su quella desolazione come un cigno in mezzo ad uno stormo di folaghe. Teneva la ricetrasmittente incollata all’orecchio mentre parlava animatamente. Sembrava molto occupato. Passnadogli vicini potemmo udire chiaramente la conversazione: Tango 16 a Tango 10 (nomi inventati) dove sei. A.T.: sono in località Vedetta ..passo … La radio: come è la situazione passo… A.T.: Qui la situazione è sotto controllo. Allora Fabio ebbe una specie di scatto d’ira. Aveva proprio perso la pazienza. Messosi di fronte ad A.T. gli urlò in faccia: “Ma che casso vuoi controllare quando è tutto bruciato e non ci si vede ad un metro”.
Lasciando l’uomo a chiacchierare ce ne andammo sconcertati verso la strada del “salt dea Cavara.”
Il fuoco, lasciato senza controllo, aveva saltato la strada ed aveva attaccato anche i pendii di Possagno, portandovi la distruzione.
A quel punto non sapevamo davvero cosa fare. Anche perché s’era fatto tardi e Fabio doveva tornare a casa. Scendemmo allora lungo la strada della Vedetta, decisi a tagliare più giù attraverso il bosco, per arrivare a San Liberale senza incontrare troppe persone alle quali dover dare spiegazioni. A circa un chilometro dal salt dea cavara trovammo un’altra postazione dell’antincendio. C’erano sei uomini. Quattro vigili del fuoco e due membri dell’associazione antincendi boschivi. Anche questi equipaggiati come se dovessero andare in guerra. Le fiamme stavano divorando il bosco, appena più su. Loro intanto stavano seduti vicino al mezzo, mangiando panini con il salame e bevendo a garganella da un fiasco di vino rosso. Sembravano allegri e tranquilli. Come se il fuoco non fosse affare loro.
Per quel giorno gli uomini del servizio pubblico, a quanto pare in seguito a precisi ordini dall’alto, non si mossero dalle strade e lasciarono il fuoco padrone incontrastato del monte. Per fortuna, quella sera, gente dei paesi, gente normale, persone qualsiasi animate solo dal loro amore per la montagna, salirono lungo i costoni e le valli. Quegli uomini di cinquanta, sessant’anni, esperti e pratici dei luoghi, dimentichi dei divieti e degli ordini assurdi delle autorità preposte, decise a lasciar ardere tutta la montagna piuttosto di prendersi la responsabilità di ordinare un intervento deciso da parte della macchina appositamente istituita per questo scopo, andarono dove serviva ed attesero l’arrivo del fuoco. Salivano la montagna fin da bambini. Sapevano dove si sarebbe potute combattere le fiamme efficacemente e senza troppi rischi, e lo fecero. Fu gente come Siro Andreatta, suo cugino Tullio, Eli. Andarono da soli o in piccoli gruppi a lottare in una specie di guerra personale contro l’incendio e riuscirono a domarlo. Il giorno dopo io invece dovetti andare al lavoro. Fabio il lunedì partì per Padova, dove studiava all’università.
E ci perdemmo quella lotta. Ma alla sera l’incendio era vinto.
Il fumo continuò a salire ancora per qualche tempo, ma ormai era innocuo.
Giuseppe Zalunardo
Fabio Zancanaro (l'alpin)
Zalunardo Giuseppe e Zancanaro Fabio primavera 2010