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Le piccole acque

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ABIENTI A RISCHIO DI SCOMPARSA SUL MASSICCIO MONTE GRAPPA

Con il termine “piccole acque” s'indicano bacini di ridotte dimensioni che non sono ne laghi, nè estese zone umide costiere. Essi possono essere naturali o artificiali creati dall'uomo. Caratteristiche comuni a questi biotopi sono: l'esigua profondità la staticità dell'acqua, non essendo questa mossa da corrente alcuna la temperatura che durante il giorno presenta, a causa dell'esiguità della profondità del bacino, notevoli sbalzi termici mancanza di stratificazione termica. Infatti dalla superficie al fondo non si registrano forti differenze di temperatura  la torbidità.

 


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L'articolo è stato gentilmente concesso dall'autore Fabio Danzi, pertanto ogni riproduzione anche parziale del contenuto deve essere autorizzata dall'autore.

Se l'acqua è molto torbida ostacola il passaggio dei raggi del sole e non permette quindi la fotosintesi clorofilliana alle piante acquatiche che quindi muoiono, o non s'insediano affatto su quel dato biotopo. La torbidità può essere temporanea, se causata dal mescolamento dell'acqua da parte di venti più o meno forti, o se causata dal calpestio del bestiame all'abbeveraggio com'è il caso delle pozze d'alpeggio in quota.

Le piccole acque, qualora di esigue dimensioni possono prosciugare, causa evaporazione o fondo del bacino non sufficientemente impermeabile. Questi bacini vengono definiti “astatici”. I biotopi di discrete dimensioni che possono presentare variazioni di livello delle acque ma che non giungono mai a prosciugamento si definiscono “bacini perenni”.

La prima classificazione delle piccole acque è stata fatta da Pickler nel 1945, ed è tuttora in uso tra gli studiosi. Egli distinse tre categorie.

STAGNI. Vengono così chiamate quelle raccolte acquee che al massimo invaso hanno profondità di almeno un metro (fino ad un massimo di 3 – 5 metri ) e che presentano caratteristiche simili ai piccoli laghi.

Negli stagni, a differenza dei laghi, se l'acqua è sufficientemente trasparente, abbiamo uno sviluppo di piante acquatiche anche sul fondo a maggior profondità. Bell'esempio di stagni nella piana del Grappa sono le “FOSSE DI LIEDOLO” in provincia di Treviso.

PALUDI. Le paludi sono corpi idrici a profondità variabile che a massimo invaso non arrivano mai al metro ma che più spesso giungono appena al mezzo metro di profondità. Le paludi, in alcuni periodi dell'anno possono prosciugare. Se il loro bacino presenta vegetazione emergente su tutto lo specchio d'acqua allora prendono il nome di “ACQUITRINO”.

Tipico esempio di questo ambiente in zona è l'”OASI DI SAN DANIELE” in comune di San Zenone degli Ezzelini (TV)

La terza categoria è rappresentata dalle POZZE. A massimo invaso non superano i 50 centimetri di profondità e sono di piccole dimensioni. Esse sono temporanee, si riempiono in primavera e si prosciugano in estate (pozze primaverili), oppure si riempiono con le piogge autunnali e si prosciugano in estate(pozze autunnali). Di questa categoria non esistono sul Grappa esempi, vista la natura Carsica del terreno.

Le piccole acque possono essere alimentate da acque piovane, da sorgenti (tipico esempio è la piccola sorgente delle “EX RISERE DI SEMONZETTO” in comune di Borso del Grappa, Danzi Fabio – Notiziario Gruppo ANA San Marco amici delle Montagna – Primavera – Estate 2006) o da acque di falda (esempio l'OASI DI SAN DANIELE - Liedolo) .

LE PICCOLE ACQUE ARTIFICIALI

Un tempo, ogni piccolo Paese, ogni borgo di case aveva, nei suoi pressi, uno stagno, un lavatoio, una pozza adibita ad abbeveraggio del bestiame.

Con l'avvento dell'industrializzazione l'uomo è migrato verso le città ed ha abbandonato la vita scomoda che conduceva.

Gli stagni, le citate piccole acque, non servivano più e così sono state prosciugate e le aree paludose bonificate.

Dei bacini artificiali della Pedemontana del Grappa non rimane molto se pensiamo che un tempo, con molta probabilità, in zona, stagni e altre raccolte artificiali saranno state centinaia (purtroppo non esiste vecchia stima a riguardo).

Gli unici habitat rimasti in zona sono rappresentati dalle vecchie cave d'argilla abbandonate. In questi luoghi l'uomo ha estratto l'argilla per produrre laterizi (coppi). In seguito queste cave sono state abbandonate a causa della cattiva qualità dell'argilla e così, il terreno calpestato per anni dai camion e reso molto compatto e impermeabile, ha permesso la nascita di ambienti naturali assai interessanti (es. Oasi di San Daniele e Fosse di Liedolo).

La produzione di laterizi è industria tuttora fiorente nel vicino paese di Possagno, divenuto leader nazionale e internazionale nella produzione di coppi, con effetti significativi sul tenore economico della zona, ma anche con impatti ambientali catastrofici.

In quota, il Massiccio Monte Grappa, presenta altri ambienti acquei artificiali :

POZZI per la raccolta dell'acqua ad uso domestico

POZZE D'ALPEGGIO per l'abbeveraggio dei bovini e ovini al pascolo. Queste, ubicate nei pressi delle malghe, sono caratteristiche per la loro esigua profondità e limitata estensione. Assenza o quasi di piante acquatiche le quali non sopravvivono al calpestio degli animali e all'acqua intorbidita dalle feci degli stessi. Sono gli unici ambienti acquatici in quota, vista la natura Carsica del M. Grappa, permettono la vita ad animali anfibi (rane e tritoni) e agli insetti specializzati a vivere in questi specchi d'acqua (certi coleotteri acquatici, libellule ecc…). Questi bacini sono stati costruiti con fondo in argilla pressata o in cemento. Molte di queste pozze sono state abbandonate e così invase dal prato adiacente. Altre diventano sempre più ristrette a causa della mancanza di manutenzione. Per salvaguardarle bisognerebbe rifare loro il fondo, molto spesso distrutto dal calpestio degli animali. Bell'esempio di questa categoria è, sul M. Grappa, la pozza d'alpeggio di Campo croce (TV), la quale ospita una piantagione di Typha, una rarità in questi ambienti.

LE FOSSE DI LIEDOLO

Trattasi di due stagni, l'uno posto nel versante nord della formazione collinare del Collalto e l'altro nel versante nord della collina di San Lorenzo, a circa 150 metri di quota, nei pressi del paese di Liedolo in comune di San Zenone degli Ezzelini (TV).

Sono due bacini d'escavazione dell'argilla che in seguito ad abbandono avvenuto circa 60 – 70 anni fa, si sono riempiti d'acqua e impaludati.

Sono alimentati da piccole risorgive, ma soprattutto dalle piogge e si possono inquadrare nella categoria delle acque perenni visto che non giungono mai a prosciugamento.

Lo stagno del Collalto è stato bonificato nel 1990 ed è tuttora in ottimo stato conservativo. Purtroppo sono state immesse specie ittiche per la pratica della pesca sportiva (libera in questo specchio d'acqua). Tra i pesci ricordo il Gatto, introdotto in Italia dall'America nei primi anni del 1900 e la Carpa, originaria delle regioni Asiatiche e dei paesi dell'Est Europeo. Introdotta in Italia nel primo secolo dopo Cristo dalle truppe Romane e allevata in peschiere dai monaci nel Medio Evo per essere consumata il venerdì, giorno di magra.

Le specie estranee alla fauna di un dato biotopo, creano problemi di competitività alimentare con le specie autoctone e modificano l'equilibrio naturale dell'ambiente.

In questo stagno ho osservato la presenza della testuggine d'acqua europea (Emys orbicularis) sempre più rara nel nostro paese, causa distruzione degli ambienti acquatici, ma anche a causa dell'introduzione, da parte dell'uomo, della testuggine scripta, introdotta in Italia dalla Florida, venduta nei negozi di animali e rilasciata negli stagni da acquirenti senza scrupoli. Questa testuggine, provenendo da zone calde, da noi in libertà non sopravvive all'inverno.

Lo stagno al Col di San Lorenzo è attualmente in totale abbandono anche se, anni fa, il comune di Romano D'Ezzelino, lo aveva inserito nel progetto “Parco degli Ezzelini”. Bonificato, creato un sentiero natura che conduceva fino allo specchio d'acqua e in seguito …..abbandonato a sé stesso. Ora diventa per il visitatore addirittura un problema trovare l'ubicazione di questo sito naturale. Il bosco e i rovi lo stanno invadendo. Non si capisce perché le autorità competenti spendano denaro pubblico per sistemare questi luoghi naturali sempre più rari per poi abbandonarli al loro destino

Nel nostro Paese la ricerca naturalistica è poco coltivata e il popolo è poco sensibile all'importanza della conservazione della natura. Una grossa colpa va ricercata soprattutto nella scuola media ove, l'insegnamento delle scienze naturali, è molto carente, non aiuta a svegliare l'interesse per la natura che molti giovani hanno latente.

L'OASI DI SAN DANIELE

Sito posto tra l'abitato di Mussolente e Santa Eulalia, a circa 160 – 180 metri di quota, in località San Daniele, comune di San Zenone degli Ezzelini (TV). La superficie stimata è di 13 ettari ed è formata da boschi, da zone coltivate, da piccole colline e da un acquitrino, originatosi dopo l'abbandono, avvenuto qualche decennio fa, della cava d'argilla.

Questo è alimentato da una piccola risorgiva e soprattutto da acque meteoriche. Nell'arco dell'anno esso subisce elevati sbalzi idrici a causa di periodi siccitosi, ma non arriva mai al totale prosciugamento. Qui è presente una vasta piantagione di Typha latifolia, la quale ha invaso quasi tutta l'area ad acquitrino e potrebbe creare l'interramento della zona umida (questa piantagione andrebbe ridotta con interventi di manutenzione) e di Typha angustifolia, quest'ultima rara nella fascia prealpina. E' presente anche una vasta zona a giunco. La profondità dell'acqua è piuttosto esigua e non arriva al metro.

Da notizie raccolte risulta che gli abitanti in zona avessero chiesto l'interramento del sito ma, opposte le associazioni ambientaliste, il comune di San Zenone degli Ezzelini identificò l'area come inedificabile a causa del pericolo di esondazione e propose l'area ex cava di San Daniele come parco d'interesse comunale.

Alcuni anni fa presero il via i lavori di sistemazione dell'oasi con la costruzione di un sentiero in ghiaino, una passerella sopraelevata in legno che permette l'osservazione da vicino della zona paludosa, la creazione d'alcune piccole raccolte d'acqua didattiche con ninfee e bellissime piante di loto indiano, che nei mesi estivi, danno vita a spettacolari fioriture. Nel parco sono posti tabelloni didattici a consulto delle scolaresche e dei visitatori.

A quest'ambiente, così “addomesticato”, si consiglia la visita. Sorprenderà il trovarsi in solitudine, visto che il sito, purtroppo, non è stato reclamizzato, ed è quindi, sconosciuto al pubblico.

Tipici insetti di questi ambienti sono le libellule, volgarmente chiamate “cavaoci”. A causa del loro volo rapido a linee bruscamente spezzate, si pensava potessero battere sugli occhi e accecare il mal capitato. Credenze popolari di un tempo, l'animale è invece assolutamente innocuo, ed è un piacere osservare il suo volo, così sicuro ed elegante. Questi insetti hanno larve acquatiche ed abbisognano quindi dell'elemento liquido per riprodursi. Depongono le uova direttamente nell'acqua o le infiggono negli steli delle piante acquatiche e non tollerano biotopi fortemente inquinati.

Negli anni 1993 / 94 la dottoressa Cinzia Barillaro , ha condotto uno studio sulle libellule del Monte Grappa, classificando 21 specie diverse. Detto lavoro è stato pubblicato sul libro “Incontri con il Grappa – sulle tracce degli animali – a cura del Prof. Luigi Masutti - editore Moro – 1998, al quale ha collaborato anche il sottoscritto.

Nel 2006 è stata mia volontà proseguire con le ricerche della dott. Barillaro, con la speranza di censire altre specie. Sono stati oggetto di studio gli ambienti d'acqua ferma (stagni, paludi, pozze) e gli ambienti d'acqua corrente (rive di fiumi, torrenti ecc…).

Sono state censite altre otto specie di libellule, alcune molto rare e altre in pericolo di scomparsa nella regione Veneto. Al momento le specie conosciute per il Massiccio Monte Grappa sono 29 e ricordo che in Europa vivono 130 specie, delle quali 88 in Italia, isole comprese.

Danzi Fabio -

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