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O

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Recentemente ho voluto scrivere una DEDICA alla Madonna del Grappa in sintonia con lo spirito di devozione condiviso dai soldati che sul Grappa hanno combattuto, usi ad affidare alla Madonna la loro sorte. Diciamo che è una breve storia verosimile, se non uguale ad altre accadute in quelle tragiche circostanze -vedi testo allegato.
Debbo confessare di essere affezionato al Grappa che ho visitato più volte.La prima volta sono salito a piedi il 12 luglio 1952, andata e ritorno dal Castello di Quero: un'impresa memorabile per me ragazzo ed i miei 15 compagni, tutti provenienti dalla campagna, superare circa 1.500 metri di dislivello: in due tappe la salita, l'intera discesa nel pomeriggio del secondo giorno.
In P.S. ho anche voluto esprimere un ricordo per mio zio Rino Masier, un ragazzo sfortunato che ha perso la vita a soli 22 anni per malattia contratta durante l'ultima guerra, mentre era in servizio militare.
Questo mio vuol essere un modesto contributo a sostegno di quanti lavorano per ricordare la nostra storia ed i grandi valori di solidarietà cristiana e di partecipazione che l'hanno contrassegnata.
Se gradite, potete pubblicare il testo che vi ho trasmesso, ovviamente con cognome e nome dello scrivente.
Buon lavoro per la tutela e la valorizzazione del nostro Monte Sacro alla Patria, come il fiume Piave dove sono nato e cresciuto.

Adriano Masier

Voglio ringraziare a nome di tutto lo staf del Montegrappa.org per la toccante storia e testimonianza che il Sig. Adriano ha voluto consegnarci per una giusta divulgazione. Ci fa sempre piacere e onore ricevere materiale e pubblicarlo a disposizione delle future generazioni.

Carlo Grigolon

Ho avuto occasione di recuperare una antica medaglietta della Madonna del Grappa: - sul dritto è rappresentata l’immagine della Mater Misericordiae con Gesù in braccio; - sul rovescio sono incise tre date: 4 agosto 1901 - Data di inaugurazione del sacello con sopra la statua della Madonna e della benedizione impartita dal mons. Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia (San Pio X) 14 gennaio 1918: data della distruzione del sacello e del “ferimento” della Madonna 4 agosto 1921: data della ricollocazione della statua “riparata”, all’interno della nuova cappella.
Fra pochi giorni è il 90 anniversario della ricollocazione e sarebbe auspicabile che la ricorrenza non passasse sotto silenzio.

Dedica alla Madonna del Grappa

“Quando son partito giovane soldato per fare il mio dovere sul Grappa, mi sono ricordato le parole che la mamma mi diceva dal suo letto di dolore: Da lassù in cielo ti sarò sempre vicino! Eravamo in tanti a combattere per respingere il nemico che voleva occupare la nostra terra. Nel frastuono delle bombe e della granate ci sentivamo soli e non sapevamo come ripararci. Avevamo tanta paura ma volevamo vivere. Mi sono rivolto alla Madonna del Grappa, Madre di Misericordia, con queste parole: “Ora qui sei tu la mia mamma e tocca a te sostituire quella mia terrena che è salita in cielo da te promettendomi che mi sarebbe stata vicino e mi avrebbe assistito ”.
Avevo da poco iniziato l’università quando il nonno Vittorio, ormai prossimo alla sua fine, mi volle vicino a se, mi regalò un fogliettino stinto e spiegazzato, scritto a matita con una calligrafia quasi illeggibile, che custodiva gelosamente nel taschino di un suo vecchio gilè e che ho trascritto sopra. Mi disse di averlo scritto in una pausa dei bombardamenti sul Grappa come dedica e per riconoscenza alla Madonna che, incurante dei pericoli, era rimasta lì su con lui e con gli altri ragazzi del ’99 ad assisterli ed a confortarli con la sua presenza materna in quella brutta situazione. Dopo la guerra avrebbe dovuto completarlo con quanto gli era accaduto ma non ha avuto più il tempo ed il coraggio di farlo. “Ora la mano mi trema e non riesco nemmeno ad impugnare la penna. Se te lo racconto, lo fai tu per me in modo che la dedica sia compiuta”?
Un nodo alla gola mi impedì di rispondere, ma gli dissi di sì con il capo.
“Un giorno d’estate del 1918 ero di ronda su in cima al Grappa. Con altri due compagni giravamo per sorvegliare i dintorni con un cannocchiale. Dovevamo guardare verso il fronte nemico per capire se si notavano movimenti strani. Avevo da poco ceduto il cannocchiale al caporale Agostino e mi volevo riposare un po’ all’ombra del capitello della Madonna. Improvvisamente ricevo una forte spinta come di una manata ed un colpo di vento insieme che mi fanno cadere lungo disteso per terra. Un istante dopo lo scoppio fortissimo di una granata mi fa diventare sordo. Vengo soccorso dai miei due compagni che mi parlano ma io non sento nulla. Mi guardano e mi palpano dalla testa ai piedi per cercare chissà cosa e mi osservano pieni di stupore. Vincenzo mi fa un gesto per dirmi che ero stato fortunato. I miei compagni, sostenendomi uno per parte, mi accompagnano alla casermetta che era il nostro ricovero notturno. Devo essermi addormentato sulla brandina di legno quando, ad un certo punto, ho cominciato a sentire fuori la voce del caporale che riferiva al sergente l’accaduto dicendo che doveva essere stato lo spostamento d’aria provocato dallo scoppio a buttarmi per terra ed a salvarmi la vita. Ho tentato di alzarmi per dire che non era andata in quel modo e che ero caduto prima dello scoppio. Un giramento di testa me lo ha impedito e subito ho cominciato a tremare di febbre.
Appena entrato, il sergente capisce la situazione ed ordina di portarmi nell’infermeria da campo. Ho impiegato alcuni giorni per capire che avevo una forte contusione alla caviglia e non potevo camminare. La febbre non mi lasciava e così mi hanno fatto trasportare giù in pianura nell’infermeria della caserma. Non so ispirato da chi, per qualche giorno ho nascosto di aver ripreso l’udito e così ho avuto il tempo di pensarci prima di parlare. Alcuni giorni dopo Vincenzo, avuto un breve congedo di riposo, è venuto a trovarmi e mi ha raccontato la sua versione dei fatti, che era stata anche compresa in un rapporto ai Comandi militari in quanto, proprio in quella esplosione, era stato distrutto il capitello e la statua della Madonna, colpita da una scheggia, era caduta a terra con una grossa lacerazione al petto, dalla parte del cuore. Finalmente questa volta ho colto l’occasione per dare la mia versione e gli ho detto: “E’ stata la Madonna a farmi cadere per terra ed a proteggermi con il suo corpo”. Vincenzo, di rimando, con un sorriso beffardo: vorresti dire che ti sei salvato per un miracolo della Madonna che si è sacrificata per te? “Anche se tu non ci credi e così”! Ma!? Non so come una statua possa fare cose simili. Se non vuoi essere congedato per seminfermità mentale, se te lo chiedono, ti suggerisco di confermare la mia versione che è ragionevole e più credibile. Ci siamo rivisti dopo anni ad una adunata degli alpini. Mi si è avvicinato sorridente: “come va, miracolato”? “Un colpo di fulmine ti ha fatto cambiare idea? “Un colpo di fulmine no, ma un episodio molto strano che non mi sono spiegato. Poco dopo la fine della guerra sono stato convocato a Venezia perché nel laboratorio che aveva l’incarico di restaurare la statua della Madonna i tecnici mi volevano fare alcune domande tra cui sapere se qualche soldato avesse recuperato delle schegge della statua, che sarebbero state utili per il rammendo della lacerazione al petto”. “Nel suo rapporto lei ha scritto che il soldato semplice Vittorio era stato investito e scagliato a terra dallo spostamento d’aria. Poiché si trovava a non più di cinque o sei metri dal sacello colpito e distrutto dalla granata, avrebbe anche dovuto subire delle ferite da schegge di ferro o di pietre, ma ciò non risulta agli atti: né schegge ne strappi alla divisa. Come lo spiega? Non ho considerato la cosa: forse si era sdraiato per terra prima dello scoppio. “Lo sdraiarsi spontaneo per terra non comporta una forte contusione ed un ematoma alla caviglia”. Allargando le braccia, mi sono difeso così: “Scusate signori, eravamo in guerra, con morti e feriti tutti i giorni. Messo al sicuro il soldato, abbiamo avuto altro a cui pensare”. “Ci ho ripensato più volte ed a lungo ed oggi te lo voglio dire. Tu, la tua vittoria in guerra l’hai conquistata con la tua fede quel giorno su al Grappa. Io, che non ho quella fede, ho dovuto aspettare sino al 4 novembre”.

Il nipote Rino

P.S.: Rino si chiamava il più giovane dei fratelli di mio padre. Dire che è stato un ragazzo sfortunato è troppo poco: Sua mamma Zaia Maria è morta il giorno che lo ha messo al mondo nel 1923.
Non aveva ancora 19 anni quando nel 1942 è stato arruolato ed inviato in zona di guerra. Dopo meno di sei mesi si è preso una broncopolmonite, sfociata presto in una pleurite. E’ iniziato per lui un calvario durato 27 mesi: 18 mesi di ricoveri in vari ospedali, gli ultimi cinque in un sanatorio di Verona, alternati a periodi di convalescenza, complessivamente altri 9 mesi. Congedato nell’agosto del 1945 con il riconoscimento di invalidità permanente per malattia contratta in guerra, è vissuto solo altri tre mesi ed è morto nel mese di novembre 1945. Ora riposa nel Sacrario Militare di Treviso.
Di lui, che ho visto poche volte quando, durante le convalescenze , veniva a trovarci in Gonfo a Salgareda, ho un ricordo sbiadito: era un tipo allegro che faceva il trombettiere e amava la vita. Saliva su nel granaio al terzo piano di casa nostra per il suo compito saltuario di vedetta poi, se del caso, correva a Ponte di Piave per dare l’allarme. Sapiamo quali disastri hanno provocato i bombardamenti degli alleati che hanno distrutto i ponti sul Piave e costretto la mia famiglia a sfollare per circa 8 mesi dall’ottobre 1944 al maggio 1945. Per tale situazione ho iniziato la scuola elementare con un anno di ritardo.
Ho voluto ricordare che, fra le tante, troppe giovani vite sacrificate invano per una guerra stupida, c’è stata anche quella di mio zio Rino Masier.

Adriano Masier